Con la pandemia tutto è cambiato: il lavoro, il gioco, lo studio, le relazioni sociali. Per adeguarsi, la maggior parte delle aziende italiane e di tutto il mondo, si è vista costretta a riadattare gli schemi e flussi di lavoro per accomodare quanto più possibile l’esigenza di gestire personale e progetti in forma totalmente digitale.
Il telelavoro o home working, è l’Accordo interconfederale del 9 giugno 2004 firmato dalle sigle sindacali maggiormente rappresentative (la triade CGIL, CISL e UIL) e le associazioni datoriali a loro volta maggiormente rappresentative. L’Accordo è il recepimento dell’accordo-quadro europeo sul telelavoro stipulato a Bruxelles il 16 luglio 2002. La prestazione lavorativa viene resa al di fuori dei locali aziendali in ambienti che rientrano nella disponibilità del lavoratore quali, per esempio, il suo alloggio. L’Accordo citato stabilisce che il carico di lavoro assegnato al telelavoratore deve essere comparabile a quello dei lavoratori che svolgono l’attività nei locali dell’impresa.

Cosa diversa è invece il modello smart working, che definisce (secondo quanto indicato nella Legge n. 81/2017) una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro caratterizzato dall’assenza di vincoli orari e spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, è un insieme di linee guida per rendere più flessibile l’organizzazione del lavoro. La definizione di smart working è molto spesso accostata a quella di lavoro da remoto: la parola remoto implica che si lavori a distanza da un certo luogo, ovvero l’ufficio. Ma se l’ufficio non esiste?

Bisogna consentire un’eventuale presenza in sede per operazioni che richiedono strumentazioni non utilizzabili da remoto in un contesto di restrizione delle capacità produttive della forza lavoro. Proprio dall’abbattimento di questo pilastro, ovvero l’ufficio, in molti pensano al distributed work. Un lavoro che non conosca ufficio, e per cui le limitazioni all’orario di impiego sono settimanali o mensili, e non necessariamente giornaliere (in base, ovviamente, ai tempi e ritmi di ogni azienda). Un lavoro che, di conseguenza, riduce i flussi di traffico nelle aree metropolitane, può migliorare la produttività dei singoli dipendenti e, da questa, dell’intera azienda, premiando non la presenza ma il merito nel raggiungimento degli obiettivi prefissati. Ma se l’ufficio non esiste, è interamente virtuale, l’ufficio è nel computer di ogni dipendente, quindi il telefono fisso, la posta, i files e gli strumenti di collaborazione devono essere disponibili e garantire l’accesso agli spazi comuni aziendali h24 in modalità co-working e hot desking, per garantire una collaborazione totale e facilitare tutte le altre mansioni che non possono essere svolte totalmente a casa.

In questi mesi escono sempre più articoli a riguardo:

Ci sono pro e contro e non è adatto a tutti, come in tutte le cose ma credo debba essere fornita la possibilità alle persone di scegliere. Dal punto di vista aziendale invece, credo sia essenziale valutare nuovi metodi per misurare il rendimento del personale per garantire queste moderne tipologie di lavoro, ovvero istruire un nuovo modello di leadership.

Ovviamente queste nuove modalità portano con se dei cambiamenti quali per esempio:

  • Le nostre case sono pronte al lavoro da remoto?
  • Il datore di lavoro è responsabile della salute e della sicurezza sul lavoro, quindi dovrà poter accedere al luogo ove il telelavoro viene svolto
  • La sicurezza informatica deve includere confini fino ad oggi poco considerati